La musica è cambiata

La musica è cambiata, parola di numerologa.

Se, come me, avete attraversato gli anni ‘80, ‘90 e 2000, fino ad oggi, vi sarete inevitabilmente accorti che «la musica è davvero cambiata», frase quasi scontata ma che sentiamo ripetere costantemente da boomers nostalgici.

Ma… perché «la musica è cambiata»?

Proviamo ad affrontare l’argomento sotto un profilo spirituale e metafisico, cercando risposte in luoghi inusuali, diversi da quelli delle classifiche discografiche.

La musica nasce come forma di espressione dell’uomo che, in accordo al ritmo del battito del proprio cuore e sulle onde delle armonie o disarmonie emotive, esprime sé stesso, utilizzando più o meno consapevolmente questo processo come strumento di trasformazione di gioie e dolori. Per far sì che questa trasformazione attraverso la musica avvenga, abbiamo bisogno di strumenti diversi, umani e tecnici.

La musica è il disegno sonoro perfetto delle nostre vibrazioni.

Ognuno di noi cerca sempre di ascoltare (o scrivere, se si è artisti) ciò che ci piace o ci somiglia. Spaziando dalla musica classica all’urban, cerchiamo riconoscimento e voce in un dato linguaggio sonoro.

Sotto il profilo pratico, il telaio da cui parte tutto sono le note che, intrecciate, danno origine a melodie, armonie e composizioni.

Le note musicali, secondo la visione pitagorica, sono la traduzione acustica del cosiddetto «suono delle sfere»; questo legame fra i disegni celesti, le loro vibrazioni e l’uomo risale appunto a Pitagora.

Fu infatti il filosofo e matematico greco a decodificare e sviluppare per primo il concetto delle ottave, secondo cui ogni nota è associata alla vibrazione di un pianeta. L’intervallo di distanza fra essi è lo stesso fra una nota e l’altra.

È tutto meraviglioso, no? Le famose meccaniche celesti di cui parlava il maestro Franco Battiato.

Sotto un profilo umano e spirituale, invece, abbiamo bisogno di “connessione”.

La musica è connessa all’universo (come abbiamo detto), e l’essere umano ha bisogno di attingere alle informazioni che l’universo emana. E allora, perché la musica sta cambiando a questa stregua? Eppure, l’universo è lo stesso da secoli.

E noi, siamo ancora connessi ad esso?

Se state leggendo e siete dei fieri boomers starete anche personalmente aggiungendo: «più che cambiando… si sta imbruttendo». Sbaglio?

La mia lunga esperienza da numerologa e anche da vocal-coach/performer, mi ha permesso di azzardare e sviluppare un paio di piccole teorie che voglio condividere con voi.

Iniziamo allora dal concetto di “connessione”. La preziosa tecnologia che ci ha permesso negli ultimi decenni un grande salto evolutivo ci ha allo stesso tempo scollegati dal nostro “sentire profondo”, dall’ascolto ancestrale di quelle vibrazioni universali e dall’ascolto del corpo che risponde e collabora con esse.

Più che il battito del cuore ascoltiamo quello dell’orologio o del personal trainer che scandisce le flessioni.

Il nostro corpo è sacro ed è lo strumento, il bio-veicolo, guidato dall’anima, il mezzo con cui essa comunica.

Siamo sempre più bombardati da immagini veloci e suoni esterni che non abbiamo neanche più il tempo di processare. Siamo iperconnessi al 5G ma ci stiamo pian piano sconnettendo interiormente… e, perché no, stiamo forse anche perdendo la capacità di canalizzare informazioni importanti dal campo morfogenico*.

Molti artisti, in primis il maestro Battiato, raccontano la sensazione di non essere stati loro ad aver scritto determinate canzoni, ma di come abbiano dato voce a qualcosa che “è arrivato”.

Quel flash intuitivo, non manipolato dalla mente condizionata, è un’informazione divina.

Questo graduale allontanamento dal proprio sentire, dall’anima, ha portato molti artisti (o presunti tali), a trasformare gradatamente il linguaggio verso un modo di scrivere e cantare molto più legato ad aspetti emulativi esterni e pensati.

Alla ricerca di riconoscimento dell’ego, spinti dalla smania di entrare in un sistema “che funziona”, che arricchisca materialmente, sono troppo spesso pronti ad accantonare la propria “tempesta”, la propria unicità, per non sentirsi dire da qualche discografico: «non funziona, è vecchio».

Per qualche anno mi sono occupata di management discografico. Ho avuto per le mani giovani artisti di grande talento a cui dovevo fare da cuscinetto/filtro con le realtà discografiche e provare a convincerli ad andare verso quello che in quel momento era in auge piuttosto che portare avanti, fieri, la propria unicità, pena il non ascolto da parte degli addetti ai lavori.

Quando ho capito che era più frustrante per me che per loro, e che il mio lavoro era farli (e farmi) scendere a compromessi, per prima mi sono arresa.

L’altra osservazione che ho fatto, attingendo alla numerologia, è questa: secondo i principi numerologici, ogni lettera del nostro alfabeto è associata a una vibrazione e di conseguenza a un numero.

Per un principio pitagorico le vocali sono associate ai suoni dell’anima e la loro somma ci permette di trovare quale sia il nostro “numero dell’anima”.

Provate a riflettere: se vi fate male o se state godendo urlate con una vocale, non con una consonante: «aaaahhhh!».

Le consonanti invece sono associate ad aspetti più mentali, “di maschera”.

Il “numero della persona”, infatti, ci parla della nostra “maschera nel mondo” e si calcola sommando il valore delle consonanti che compongono il nostro nome.

In sintesi, in un linguaggio dove ci sono più vibrazioni di vocali aperte c’è più calore; dove prevalgono più consonanti invece c’è più freddezza.

Le lingue dell’Est, appartenenti a popoli “più freddi” rispetto a quelli latini, contengono molte più consonanti e poche vocali: sono lingue e popoli freddi.

La musica odierna, dal rap alle declinazioni trap, trap-trash, grime, drill, è caratterizzata da vocali meno aperte, quasi “buttate”. Dall’avvento dell’urban, si ha la sensazione che il modo di cantare sia diventato più freddo, meno “timbrato”, con vocali poco pronunciate o “mangiate”, come se vi fosse poco spirito nell’espressione del canto. La sensazione è che le emozioni siano apparentemente domate, buttate lì, senza spirito appunto.

Salvo rari casi, tutto ciò che è cantato apertamente (non dico di tornare a Claudio Villa, ma basterebbe il pop anni ‘90) è ormai considerato vecchio, come se non fosse più di moda mostrare l’anima, lo spirito e i suoi tormenti. Specialmente fra le giovani generazioni, appunto… non è cool.

Magari il linguaggio e le parole sono tormentati, ma appaiono come un ammasso di consonanti prive di spirito, che per il principio pitagorico rappresentano, come abbiamo spiegato, una maschera mentale adottata per entrare “nel sistema”.

Accenno solamente a un altro importante aspetto, aprendo una parentesi sulle sonorità. Sta sparendo l’utilizzo di strumenti costruiti con materiale organico, cellulare: il legno respira, ha un’anima cellulare, i synth no.

In fondo, tutto nasce dal battito del cuore. Nel rap specialmente la ritmica è importantissima.

È con la trap che si è declinato un sound più ipnotico e ancora più sintetico, come se davvero non fossimo più dentro all’esercizio del canto e della trasformazione, di fatto sottratti alla profondità di ciò che si canta o si ascolta.

Forse la nuova dimensione dell’era acquariana cambierà le cose… e forse anche la musica. Ma questa è un’altra storia e lasciamo la parola all’astrologo.

E voi? Che ne pensate?

* Campi morfici: campi informazionali dati dalla natura delle energie planetarie, memorie di influenza all’interno dello spazio-tempo, localizzati dentro e intorno ai sistemi che organizzano e strutturano con le loro informazioni. Essi presiedono e organizzano i sistemi, ponendo ordine al caos e all’indeterminismo. (Vedi la teoria di Rupert Sheldrake)

Autore

  • Romina De Luca

    Romina de Luca è un’operatrice olistica laureata in scienze infermieristiche nonché artista e cantante vocal-coach. È diplomata all’Accademia di Numerologia Sacra del dott. Abbate, con un master in “numerologia cabalistica”. È inoltre certificata in ABC del Rave e CARTOGRAPHY 1 e 2 di Human design, ed in corso di formazione per “guida chiavi genetiche”. Romina ha una missione ovvero quello di aiutare gli altri a ritrovare sé stessi, pertanto dopo anni di ricerca, fonda il metodo “cercati nei numeris” che consiste in numerologia sacra integrata allo HUMAN DESIGN, un approccio innovativo che rappresenta il punto di forza della sua personale visione. Romina utilizza, inoltre, musica e canzoni come trasposizione archetipa, e l’osservazione dell’utilizzo della voce come cartina di tornasole della propria centratura. Con il suo metodo ci aiuta quindi a decodificare il dialogo fra corpo e anima, a renderci consapevoli se tutto questo è in equilibrio, e se siamo allineati alla manifestazione del nostro vero ESSERE. Romina crede fermamente che “…capire chi siamo e non chi pensiamo di essere, è il primo passo verso quell’equilibrio, ci permetterà di lavorare in modo CONSAPEVOLE E ALLINEATO”.

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