Il perdono come autoguarigione

Perché il perdono è un’abilità così importante per la nostra vita?

Quale impatto ha sulla qualità delle nostre relazioni e sul nostro benessere?

Il perdono, quando autentico, contiene in sé un potere liberatorio e trasformatore di portata eccezionale, ma la capacità di perdonare chi ci ha fatto del male o procurato un danno è una sfida complessa che si costruisce all’interno di una crescita personale profonda.

Come afferma Daniel Lumera «La rivoluzione del perdono è una strategia evolutiva che permette di vivere meglio, più sani, più felici, liberi dal dolore del passato e dalle incertezze del futuro, ma soprattutto artefici del proprio presente: l’unico tempo in cui possiamo scegliere la vita e l’amore».

Al contrario di quanto si è portati a pensare, perdonare non significa dimenticare, ma piuttosto tenere bene a mente quanto è successo perché ci sia di insegnamento.

Nel senso comune si tende a pensare al perdono come a una sorta di debolezza, mentre il rancore e il desiderio di vendetta sembrerebbero più adeguate al mantenimento della nostra dignità.

«Al contrario» afferma ancora Lumera «chi incontra il perdono, quello vero, nella propria vita, chi lo sceglie con coraggio, inevitabilmente si trasforma e si libera, ritrovando quella gentilezza e leggerezza del cuore perdute da molto tempo».

A tale proposito, anche le parole di Eva Mozes Kor sopravvissuta ad Auschwitz, descrivono molto bene il potere liberatorio del perdono, quando afferma:

«Molti pensano che con questi atti di remissione io abbia negato le atrocità dell’Olocausto. Ma come potrei? Il mio concetto di perdono non rimuove i ricordi, ne elimina il peso. […] Il perdono serve a noi, per liberarci dalle catene che ci legano a loro. Negli ultimi vent’anni, da quando ho imparato a perdonare, dormo e respiro meglio ma la cosa più importante è che riesco a esaminare il passato, ricordarlo in ogni dettaglio e parlarne senza esserne sopraffatta. […] Ho energia per portare avanti ogni iniziativa utile a diffondere nel mondo la necessità di tenere viva la memoria. Che non deve essere strumentalizzata per fomentare il risentimento verso i responsabili dell’Olocausto, ma al contrario, per impedire che l’odio alimenti altri abusi, altre guerre, altri genocidi. E a chi è rimasto ferito dalle atrocità che ancora oggi scuotono il mondo, bisognerebbe insegnare il perdono. Come arma di autoguarigione e seme della pace. Per noi stessi e per la nostra civiltà».2

Detto questo viene da chiedersi, da dove cominciare per iniziare a perdonare?

Innanzitutto è fondamentale spogliarsi degli abiti della vittima, in secondo luogo, dobbiamo liberare l’altro dal ruolo del carnefice e, infine, esplorare il perdono attraverso un’altra prospettiva: la liberazione.

Mi libero e ti libero.

Dalle catene della sofferenza, dal giogo del passato che continua incessantemente a condizionarmi.

Mi libero e ti libero da ciò che ci lega nel dolore, dall’odio, dal rancore, dalla colpa e dall’impotenza.

Mi libero e ti libero, guardo avanti, rompo i muri, travalico i confini, mi permetto e ti permetto di costruire un futuro.

Mi libero e ti libero ed è una scelta profonda che assume i toni della determinazione, della consapevolezza, dell’andare avanti.

Mi libero e ti libero. E non si tratta del semplice dimenticare, ma più di sintonizzare il proprio sentire su una ferma, ferrea, potentissima idea di libertà.

[1] De Vivo L., Lumera D. Biologia della gentilezza, Mondadori, Milano 2020

[2] Mozes Kor E., Ad Auschwitz ho imparato il perdono, Sperling & Kupfer, Milano 2017

Dott.ssa Chiara Testi 

Psicologa e Pisocterapeuta

@dr.testi

Autore

  • Chiara Testi

    Laureata in Psicologia nel 2007 all’Università degli Studi di Firenze e iscritta all’Ordine degli Psicologi della Toscana, specializzata in Psicoterapia Sistemico-Relazionale presso il Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale di Prato e socia della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale. Si occupa di interventi rivolti al singolo, alla coppia e al nucleo familiare, ma opera anche in contesti più ampi in qualità di consulente nel settore organizzativo.

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