Il sogno amichevole

Mi piacciono i luoghi che stimolano riflessioni, che riflettono storie passate: andare in questi luoghi, sapendo naturalmente cosa vedere, ti porta a entrare in contatto mentale con un passato che non passa. C’è modo e modo di vedere e quando in una giornata d’estate sono salito al Bellevuewiese di Vienna sapevo già che in quel luogo, riposando nel verde, Freud aveva rimuginato fra sé quello che pensava da tempo ossia il nucleo de L’interpretazione dei sogni. Per chi non lo sa ovviamente è solo un bel prato ai limiti del bosco da cui si domina Vienna.

L’altro luogo è la casa di Freud in Berggasse 19, un appartamento borghese in un quartiere borghese, colori sobri, un poco gelidi: si accede suonando il campanello con la scritta “Dr. Freud”. Sì, come un paziente di cento anni fa. E devo dire che suoni il campanello con una certa titubanza, anche se sai che non c’è più il dottor Freud con barba e sigaro. Comunque quel campanello mi è tornato alla mente ripensando alla teoria dei sogni di Freud come una chiave d’accesso all’inconscio.

I sogni come appagamenti camuffati di desideri rimossi e la loro “lettura”, attraverso passaggi definiti, da desiderio latente a desiderio manifesto. Freud, attraverso questi passaggi ti “obbliga” a pensare, ma a farlo attraverso le tecniche dello psicoanalista. Uno può sognare l’esame di maturità, ma il significato del sogno può emergere solo dai contesti esistenziali di ognuno in relazione con il proprio psicoanalista che interpreta il materiale onirico. C’è sempre di mezzo quel campanello di Berggasse che ti indica la via di uscita, il convivere con le pulsioni del tuo inconscio.

Per Gustav Jung è diverso e mi vengono in mente Federico Fellini, seguace di Jung, e la sua Rimini: basta vedere il Grand Hotel in un giorno d’inverno, la grande spiaggia dei ricordi e dei sogni individuali e collettivi. E quindi parliamo di Jung attraverso Fellini che lo definisce «un compagno di viaggio, un fratello più grande». Perché, mentre «Freud con le sue teorie ci obbliga a pensare, Jung ci permette di immaginare».

Per Jung infatti il sogno non è l’inconscio che si traveste ma le immagini che ci vengono a trovare nel sogno comprendono non solo l’elemento psichico individuale ma anche l’elemento culturale. I sogni sono la nostra guida nei momenti difficili e allo stesso tempo un “teatro” dove tu sognatore sei al centro. La stessa libido, messa al centro della teoria di Freud, è spinta vitale e non solo pulsione sessuale.

Durante il sogno affiorano tutti quegli aspetti della vita vissuta che sono stati presi poco in considerazione eppure erano importanti.

E quindi consiglio di vedere il finale di Otto e mezzo di Fellini1 quando uno spocchioso critico intellettuale ricorda al protagonista, il regista Guido (che non sarebbe altri che Fellini) l’elogio della pagina bianca: «Ricorda l’elogio di Mallarmé alla pagina bianca? E di Rimbaud? Un poeta mio caro, non un regista cinematografico […]. Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione” […]. La nostra vera missione è di spazzare via le migliaia di aborti che ogni giorno oscenamente tentano di venire al mondo. Educarsi al silenzio». Il regista (interpretato da Marcello Mastroianni) risponde con la leggerezza del sogno in cui vede davanti a sé la rappresentazione delle persone della sua vita: «Ma cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo, come è giusto accettarvi, amarvi, e come è semplice […]. È una festa la vita, viviamola».

Tiziano Arrigoni

[1] 8 ½ di Federico Fellini, Italia 1963, durata 138’ (https://www.facebook.com/watch/?v=452489555639240)

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